La crisi economica ci rende più stupidi

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO UOMO TRISTE TRISTEZZA SUICIDIO DEPRESSIONE PAURA AIUTOL’Huffington Post ci parla di una ricerca condotta dall’università di Harvard, negli Usa, che dimostra come la povertà non intacchi solo la vita materiale degli individui ma danneggi anche la loro salute al punto da “stancare” il cervello e riducendo la sua attività.

IL DEFICIT COGNITIVO SCATENATO DALLA POVERTA’

A quanto pare le difficoltà economiche e le riflessioni su come sbarcare il lunario richiedono una tale energia mentale da ridurre le capacità di pensiero. Le preoccupazioni di carattere finanziario scatenano un deficit cognitivo quantificabile in una perdita di tredici punti di quoziente intellettivo -QI-, un dato uguale a coloro che passano la notte in bianco. Secondo gli scienziati i troppi pensieri “intasano” il cervello stancandolo e non permettendo più alla persona di poter valutare razionalmente le situazioni limitando la sua capacità di riflessione. Ed ecco perché chi è indebitato continua a contrarre prestiti, scatenando un circolo vizioso.

I POVERI NON SONO PIU’ STUPIDI

Il professore di economia dell’università americana e curatore dello studio, Sendhil Mullainathan, ha spiegato che il risultato dimostra che “quando si vive in povertà, la capacità cognitiva si riduce. Non è vero che i poveri siano più stupidi. Abbiamo solo dimostrato che la stessa persona, più povera, ha maggiori difficoltà nell’elaborare un pensiero rispetto a quando è economicamente soddisfatta”. Per arrivare a questo risultato il professor Mullainathan ha condotto una serie di esperimenti tra Usa ed India per far luce sui costi mentali della povertà scegliendo a caso persone povere e chiedendole come avrebbero pensato di risollevare la loro situazione finanziaria.

LA RICERCA

Contestualmente, i volontari si sono sottoposti ad un esame del quoziente intellettivo. Il gruppo è poi stato diviso tra “ricchi” e “poveri” in base al loro stipendio annuo, compreso tra 20 mila e 70 mila dollari. I risultati hanno dimostrato che non c’è molta differenza tra coloro che stanno bene e quelli che soffrono di piccoli problemi. Se invece venivano messi di fronte ai loro guai, ecco che il risultato è peggiorato. Secondo i ricercatori, la reazione del cervello è legata ad un processo scatenato dalla “scarsezza” di risorse, siano queste economiche, alimentari e sociali.

UNA VITA PRIVA DI ALTERNATIVE

Secondo il professor Eldar Shafir, membro del team di studiosi, la povertà ha un impatto a lungo termine sulla mente umana: “Quando sei povero non puoi dire di averne abbastanza, di dimenticare il proprio pasto o di non dar da mangiare ai figli o pagare l’affitto. Questi pensieri, messi insieme, non fanno altro che appesantire il cervello anche perché le soluzioni sono molto limitate, quando non ci sono proprio. Per questo -conclude Shafir- le persone, messe con le spalle al muro, cercano soluzioni immediate sbagliando perché non riescono a valutare le conseguenze”.

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Münchhausen per procura: perché una mamma tortura il proprio bambino?

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO NEONATO PIANGE TRISTE NERVOSO DEPRESSIONE POST PARTO PARTUM GENITORI PANNOLINI BIBERON LATTEPer meglio comprendere l’argomento trattato in questo articolo, cioè la Sindrome di Münchhausen per procura, vi consiglio di leggere prima l’articolo che parla della Sindrome di Münchhausen.

Come già accennato nel precedente articolo, la Sindrome di Münchhausen è un disturbo psichiatrico in cui le persone colpite fingono di avere una patologia o un trauma psicologico per attirare l’attenzione e il conforto degli altri. Nel caso invece della Sindrome di Münchhausen per procura chi soffre di tale patologia finge, per attirare l’attenzione, che sia malato un altro soggetto, solitamente non autosufficiente e di cui ha la responsabilità.

Malattia dei genitori, non dei figli

Il caso classico è quello di una madre che – spinta dal desiderio di essere al centro dell’attenzione – attribuisce al proprio figlio una malattia che non ha, costringendolo ad assumere farmaci ed a svolgere continue visite mediche all’ospedale e dal proprio medico di famiglia, intaccando realmente la sua salute (fisica e mentale). Quindi la Sindrome di Munchausen per procura  è una malattia di chi si prende cura del bambino, in genere i genitori, non del bambino stesso. Viene anche detta Sindrome di Münchausen by proxy ed anche Sindrome di Polle dal nome del figlio del Barone di Münchausen, morto da bambino in circostanze misteriose.

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Madre giovane in cerca di attenzione

Il soggetto che tipicamente viene colpito da tale patologia è una madre, solitamente giovane e casalinga, che si sente sola ed irrealizzata e con un marito che è spesso fuori casa, magari per lavoro. Tale donna – all’apparenza normale ed anzi a detta di tutti i conoscenti molto amorevole nei confronti del proprio bambino – si ritrova a passare la maggior parte del tempo da sola assieme al bimbo, che è pienamente affidato alla sua responsabilità. Ritrovandosi in uno stato di insoddisfazione, la mamma cerca importanza ed attenzione degli altri e si accorge che il suo ruolo diventa rilevante quando il bambino è malato e necessita di maggiori cure che solo lei gli può dare. Succede quindi che anche quando il bimbo è assolutamente sano, la madre inventi letteralmente dal nulla una sua malattia in modo che, prendendosi cura del bambino “malato”, ottenga l’attenzione delle persone che la circondano. E’ una vera e propria forma di grave abuso nei confronti del bambino.

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Difficile fare una diagnosi precoce

Questa lenta tortura del piccolo, può purtroppo protrarsi per mesi prima che qualcuno si accorga della situazione. Ciò che rende difficile diagnosticare questa malattia psichiatrica è che la madre è apparentemente amorevole, si preoccupa molto del proprio figlio ed è autoconvinta di agire per il bene del bambino, modellandosi addosso una maschera di mamma perfetta con maniacale maestria. Perfino il marito è convinto che il proprio figlio sia al sicuro nelle braccia amorevoli della donna. Altro fatto che rende difficile una diagnosi precoce è che i sintomi provocati o riferiti dalla madre, non differiscono dalle malattie vere: sono imitati così bene da ingannare i pediatri che – fidandosi del racconto della madre – si prodigano con una serie infinita di esami sempre più invasivi per chiarire la situazione del bambino, ciò può arrivare a provocare forti disagi nel bimbo, disagi che la madre strumentalizza per continuare a “prendersi cura” di lui.

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Madre martire

Talvolta la storia si prolunga anche per anni com’è avvenuto per la famosa Kathy Bush che causò alla figlia 200 ricoveri, 40 interventi chirurgici, senza contare le migliaia di esami e terapie eseguite. Ci fu anche una sottoscrizione pubblica di fondi per aiutare la signora che fu acclamata come un’eroina, una martire, una madre meravigliosa. Il denaro servì per costruire una piscina nel giardino di casa e per pagare vacanze ed automobili lussuose. Nel caso di Kathy Bush la madre iniettava materiale fecale nella flebo della bambina che presentava così febbri altissime. Tutto questo avveniva, in maniera eclatante, nel 1996 ma le stesse situazioni si ripetono anche ai giorni nostri, seppure più sfumate.

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Circolo vizioso

Nella S. di Münchausen per procura la madre o, più raramente il padre, riferisce ai medici un insieme di sintomi che il bambino presenterebbe da tempo. I sintomi caratterizzano un ben definito insieme di malattie che il medico va ad indagare con gli esami adeguati che, però, risultano negativi. Al termine del ricovero viene, in genere, formulata una diagnosi abbastanza generica che non soddisfa il genitore. A questo punto la madre si rivolge ad un altro presidio ospedaliero per avere una diagnosi precisa e terapie più adeguate, in genere aggressive, e così via in un circolo vizioso senza apparente fine.

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Osservare la madre, proteggere il bambino

Nei casi più frequenti i sintomi sono realmente presenti (ovviamente causati dalla madre stessa) ma sono ingigantiti dalla donna e sono sempre meno gravi di quanto gli esami di laboratorio e la diagnostica per immagini confermino. La storia si protrae fino a quando qualcuno del personale sanitario giunge al sospetto della S. di Münchausen by proxy che comporta una osservazione attenta del genitore quando è solo con il bambino.
La sindrome di Münchausen, per quanto rara possa essere, va conosciuta da tutti (medici, infermieri ed OSS) perché quando si ravvisano gli elementi per sospettarla bisogna avvisare il pediatra di famiglia, i servizi sociali, gli insegnanti del bimbo in modo da attivare una rete di protezione per il bambino che gli eviti i danni psicologici e fisici indotti dalla Sindrome di Münchausen by proxy.

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Sindrome di Münchhausen: fingere di essere malati per sentirsi amati

Sindrome di Münchhausen: fingere di essere malati per sentirsi amati

Una scena tratta dal film del 1979 “Il malato immaginario” con il grande Alberto Sordi

La sindrome di Münchhausen è un disturbo psichiatrico in cui le persone colpite fingono la malattia od un trauma psicologico per attirare attenzione e simpatia verso di sé. A volte è anche conosciuta come sindrome da dipendenza dell’ospedale e racchiude in se quelli che vengono chiamati “disturbi fittizi”.

Disturbi fittizi

I disturbi fittizi sono caratterizzati da sintomi fisici o psichici che sono prodotti o simulati intenzionalmente al fine di assumere il ruolo di malato. La valutazione dell’intenzionalità di un certo sintomo viene fatta sia attraverso l’evidenza diretta, sia attraverso l’esclusione di altre cause. I disturbi fittizi vanno differenziati dagli atti di simulazione in cui i sintomi sono sempre prodotti intenzionalmente, ma hanno uno scopo connesso alle circostanze ambientali (per es. i sintomi sono prodotti per evitare obblighi legali, per evitare di sottoporsi a prove, per avere un ritorno economico). La simulazione può essere considerata un comportamento adattivo normale in certe circostanze; al contrario, nei disturbi fittizi la motivazione è il bisogno psicologico di assumere il ruolo di malato, come è dimostrato dall’assenza di incentivi esterni che motivino tale comportamento.

Cenni storici

La letteratura è ricca di malanni simulati, basti pensare a Sherlock Holmes nell’avventura del poliziotto morente, dove finge di essere stato contagiato da un moderno e terribile untore, poiché questo appare essere l’unico sistema per indurre il suo rivale ad una piena confessione; oppure ai fratelli Karamazov, dove il malvagio Smerdiakov simula attacchi epilettici a scopo omicida. I disturbi fittizi prendono comunemente il nome di sindrome di Munchausen. L’omonimo barone (1720-1797), dopo anni di servizio nella cavalleria, ormai in ritiro nelle sue terre, amava distrarre gli amici con racconti in cui si attribuiva straordinarie prodezze. Il termine di sindrome di Munchausen fu utilizzato per la prima volta nel 1951 da Lancet per comprendere situazioni caratterizzate dal ripetuto verificarsi di ricoveri ospedalieri per la cura di malattie apparentemente acute, di cui il paziente riferiva una storia e una causa plausibile, ma che si rivelavano tutte false.

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Caratteristiche comuni

Il DSM IV definisce la sindrome come disturbo cronico fittizio con segni e sintomi fisici predominanti. Le patologie fittizie hanno alcune caretteristiche comuni, fra cui:

1) sono difficili da sospettare e diagnosticare;
2) vengono solitamente individuate nel tentativo di escludere la malattia che è simulata;
3) causano spreco economico per indagini diagnostiche, visite mediche, consulenze specialistiche, lunghezza delle procedure;
4) i pazienti sembrano essere resistenti a sottoporsi a terapia psichiatrica la quale, a sua volta, non dà risultati incoraggianti e non     mette al riparo da un’alta frequenza di recidive;
5) possono dar luogo a procedimenti legali lunghi e difficili, specialmente in caso di violenze simulate;
6) possono simulare violenza o causare la morte del paziente, anche se queste evenienze sono rare;
7) i pazienti inducono sentimenti di indignazione, irritazione e disistima nei curanti;
8) le persone affette coinvolgono spesso i familiari, il personale sanitario (medico di famiglia, specialisti, laboratoristi, anatomopatologi e infermiere) e il personale sociale (assistenti sociali, volontariato eccetera);
9) talvolta la patologia fittizia può essere provocata sul paziente da altre persone, solitamente dalla madre su un figlio (Sindrome di Munchausen per procura o Sindrome di Polle).

Altre caratteristiche

La storia clinica inventata dalla persona è solitamente credibile e plausibile, anche se i dettagli sono quasi sempre vaghi e inconsistenti. Possono ritrovarsi nella narrazione dell’anamnesi anche atti eroici. I pazienti portano spesso con sé una documentazione clinica molto densa, persino con interventi chirurgici multipli, quasi volessero sfidare le abilità del medico che si trovano davanti. L’età di insorgenza solitamente è quella del giovane adulto. Durante l’ospedalizzazione i pazienti sono tipicamente e particolarmente pignoli, esigenti, ostili e in cerca di attenzione e, a loro volta, ricevono poche visite. Un aspetto comune della patologia fittizia è che i pazienti si sottopongono a esami continui, senza fine e persino a indagini invasive disturbanti, come se ci fosse in loro una sorta di autolesionismo.

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I libri per prepararsi al test di ingresso di medicina, odontoiatria, veterinaria e professioni sanitarie

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO SCUOLA STUDENTI UNIVERSITA STUDIARE LAUREATISiete agli sgoccioli per i test d’ingresso universitari settembrini? Arrivati all’ultimo giorno di agosto io suppongo (anzi spero per voi) che avete già studiato a fondo tutte le materie che riguardano i test, ma per chi all’ultimo minuto voglia un aiuto in più, riassumiamo tutti i manuali dove trovare non solo la teoria della disciplina scelta, ma anche tanti quiz e software di simulazione delle prove, per esercitarsi.

Le proposte più valide sono quelle dei principali editori specializzati nei manuali di preparazione ai test universitari, da Hoepli ad Alphatest o Editest, o le storiche edizioni Simone, ma anche l’editore UnidTest e Neldiritto.

Per gli aspiranti veterinari, infatti (prova di ammissione il 3 settembre, ci siamo!) c’è il volumone Hoepli “10001 quiz per entrare in Università. Medicina, odontoiatria, veterinaria”. Altrimenti, il classico “Editest 1. Teoria, Medicina, odontoiatria, veterinaria. Per la preparazione ai test di ammissione. Con software.” Dello stesso editore ci sono anche gli “Editest1. Esercizi con software di simulazione delle prove”.

Leggi anche: Al via i test di ingresso per la facolà di Medicina: sei favorevole o contrario al numero chiuso?

Si tratta in questo caso, come si vede, anche di testi validi per per quanto riguarda i test per Medicina e Chirurgia e Odontoiatria e Protesi Dentaria in lingua italiana, che si svolgeranno il 9 settembre. Da prendere in considerazione per queste facoltà c’è poi “Come esercitarsi al test. Per gli esami di ammissione a medicina odontoiatria veterinaria e ai corsi di laurea in biologia, biotecnologie, farmacia, CTF” edito da Neldiritto.it.

Si tratta di un volume in cui le domande sono suddivise per argomenti e livello crescente di difficoltà dei diversi quesiti, che sono accompagnati dalle soluzioni e da un breve commento. A complemento, c’è anche, con lo stesso titolo e stesso editore, “Come superare il test” che riporta anche “le tecniche per azzardare una risposta anche in assenza di certezza; le tecniche di gestione del tempo”.

Leggi anche: Come funziona la nostra memoria e come facciamo per aumentarla: guida per prendere trenta e lode agli esami universitari

Per chi vuole lavorare nello specifico sui test di logica, presenti nei quiz per accedere alle facoltà citate, c’è poi “Test ammissione. Logica per medicina, odontoiatria e veterinaria. Teoria e quiz commentati. Con software di simulazione”, delle edizioni Simone, oppure “Test di logica e cultura generale. Per l’ammissione a medicina, odontiotria, veterinaria, biotecnologie, professioni sanitarie” (Alphatest).

Una certezza per quanto riguarda i Corsi di laurea delle professioni sanitarie (test d’ingresso alle porte, il 4 settembre) è lo Hoepli test “Prove simulate. Professioni Sanitarie”. Altrimenti ancora una volta c’è l’”Editest 2. Teoria. Professioni sanitarie” e sempre “Editest 2- Professioni sanitarie gli Esercizi” , entrambi corredati di software di simulazione. Editest fra l’altro è anche editore dei “5000 quiz” corredati di glossario (“EdiTEST 5000 quiz. Con glossario per le professioni sanitarie. Per la preparazione ai test di ammissione”).

Altrimenti da prendere in considerazione ci sono anche i “3000 quiz per l’ammissione ai master e alle lauree magistrali in scienze infermieristiche e ostetriche, professioni sanitarie” edito da Alphatest, oppure “UnidTest 2. Manuale di teoria-Glossario per professioni sanitarie. Manuale di teoria per i test di ammissione”, dell’editrice UnidTest, appunto, che pubblica anche “Unidtest2. L’Eserciziario commentato per professioni sanitarie. Per i test di ammissione alle lauree triennali professioni sanitarie”.

Chiudo dicendovi che il testo con cui sono riuscito a passare io il test per medicina era sicuramente dell’UTET, però sinceramente non mi ricordo il titolo, quel che mi ricordo è che gli Alphatest mi erano risultati veramente troppo facili mentre invece il testo dell’UTET era molto complesso ma sicuramente è stato molto più utile! C’è da dire che l’ultimo anno di liceo anzichè studiare greco, latino, storia dell’arte e le altre materie scolastiche, io ho passato quasi l’intero anno studiando solo le materie della prova di ammissione a medicina. Un libro di test piuttosto che un altro non può fare molto per voi nel caso in cui vi manchino le basi!

Auguro un enorme in bocca al lupo, specialmente agli apiranti futuri colleghi medici!

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La depressione post-parto colpisce non solo le madri, ma anche i papà

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO BAMBINO FIGLI GENITORI MAMMA PAPA MADRE PADRE PASSEGGIATA MANO AMORESecondo uno studio britannico della Oxford University, pubblicato sul Journal Psychological Medicine, una percentuale che oscilla tra il 4 e il 5 per cento dei maschi che hanno appena avuto un figlio soffre di depressione post-natale, contro il dieci per cento delle neo-mamme. I papà del terzo millennio si prendono oneri e onori di un nuovo modo di essere genitori che, ormai da tempo, stanno vivendo ed esplorando. Papà che cambiano i pannolini, che giocano, che danno le pappe e che cantano la ninnananna. Papà che si svegliano la notte, che cullano, che massaggiano il pancino e che danno lo sciroppo. Papà che ridono e che fanno le vocine, che si prendono il congedo parentale, ma anche papà depressi, troppo stanchi, scarichi e caricati da un eccesso di responsabilità che li fa entrar a pieno titolo in quella condizione di depressione post-parto che era un tempo a esclusivo appannaggio femminile.

Continua la lettura su https://www.corriere.it/salute/12_aprile_13/depressione_post_parto_padri_dipasqua_54abfd94-8555-11e1-8bd9-25a08dbe0046.shtml

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Quanto è normale ingrassare in gravidanza?

MEDICINA ONLINE GRAVIDANZA INCINTA DIABETE GESTAZIONALE FETO PARTO CESAREO DIETA FIBRA GRASSI ZUCCHERI PROTEINE GONFIORE ADDOMINALE MANGIARE CIBO PRANZO DIMAGRIRE PANCIA PESO INTESTINO DDurante la gravidanza il peso della futura mamma ovviamente aumenta. Ma quali sono i limiti fisiologici di questo aumento? Quale è insomma il peso che non si deve superare?
Il riferimento è l’indice di massa corporea (a questo link la tabella per calcolarlo) che avevi nel momento del concepimento.

Queste le linee guida internazionali più recenti:

1) Se al momento del concepimento eri normopeso (indice di massa corporea tra 18.5 e 25) si dovrebbe aumentare in tutto dagli 11 ai 15 Kg circa. L’aumento di peso andrebbe distribuito nel seguente modo: da o,5 Kg a 2 Kg nel primo trimestre e poi circa 0,5 Kg a settimana per i restanti due trimestri

2) Chi invece parte con un indice di massa corporea basso (sottopeso) e cioè inferiore ai 18.5 in gravidanza dovrebbe aumentare dai 12.5 ai 18 Kg.

3) Chi al momento del concepimento si trova in una situazione di sovrappeso, (indice di massa corporea tra i 25 e 29.9) potrà aumentare dai 7 agli 11 Kg.

4) Pe rle situazioni di obesità (indice di massa corporea superiore a 30) dovrebbe aumentare tra i 5 e i 9 Kg.

Come abbiamo visto partendo da un peso normale nel momento del concepimento l’aumento è circa dagli 11 ai 15 kg, che sono mediamente così distribuiti:

  • Bambino–> 3,6 Kg
  • Placenta –>0.9 -1,4 Kg
  • Liquido Amniotico –> 0.9 -1,4 Kg
  • Tessuto mammario–>0.9 -1,4 Kg
  • Apporto di sangue: –> 1,8 Kg
  • Riserve di grasso per parto e allattamento –> 2,3-4,1 Kg
  • Aumento dell’utero–>0,9-2,3 Kg

Totale –>11,3-15,9 Kg

Naturalmente tutto cambia se la gravidanza è gemellare. In questo caso l’aumento “consentito”è così differenziato:

1) Dai 17 ai 24 Kg circa se il peso della mamma al concepimento è normopeso (ricordiamo: indice di massa corporea tra 18.5 e 25)

2) Dai 14 ai 23 Kg circa se si è in sovrappeso

3) Dagli 11 ai 19 Kg se si parte da una situazione di obesità.

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Sono normopeso, sottopeso o sovrappeso? Come si calcola l’Indice di Massa Corporea (BMI)?

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Benessere Dietologo Nutrizionista Cellulite Sessuologia Ecografie Tabagismo Smettere di fumare Tabella Indice di massa corporea

L’indice di massa corporea (IMC o anche BMI acronimo di Body Mass Index) è un dato biometrico espresso come rapporto tra peso e altezza di un soggetto ed è utilizzato da noi medici come un indicatore dello stato di peso forma del paziente. E’ un dato che non tiene conto delle differenze tra individuo ed individuo come la lunghezza degli arti, la larghezza del bacino, la tonicità dei muscoli, la quantità di massa grassa/magra.

I limiti dell’IMC

Purtroppo l’IMC, preso da solo, è un dato che può trarci in errore: prendiamo il caso di due persone che sono alte uguali e pesano lo stesso peso tuttavia una delle due può essere in sovrappeso per un eccesso di massa grassa, mentre il secondo può essere un culturista con molta massa magra e pochissima massa grassa. Nonostante ciò hanno lo stesso IMC. I limiti di questo indice sono superati dalla bioimpedenziometria, che ci dice QUANTO del nostro peso corporeo totale sia determinato dalla massa magra, da quella grassa e dall’acqua. Per quanto l’IMC sia un valore potenzialmente fuorviante, ha il vantaggio di fornire in maniera rapida ed economica un valore che nella maggior parte dei casi permette ai medici di inquadrare il paziente. A tal proposito, leggi anche: L’indice di massa corporea non dice sempre la verità

Come si calcola l’Indice di Massa Corporea?

L’IMC si calcola come il rapporto tra la massa-peso, espressa in chilogrammi, e il quadrato dell’altezza, espressa in metri. In pratica:

IMC = MASSA / ALTEZZA IN METRI AL QUADRATO

Piccolo esempio valido per una persona alta 1 metro e 70 cm che pesa 62 kg:

IMC = 62 / (1,7) al quadrato         quindi         62 / 2,89 = 21,45

quindi l’indice di massa corporea in questo caso sarà di 21,45 che indica un valore compreso tra 18,5 e 25, cioè il range che significa peso normale.

Per chi non vuole fare il piccolo calcolo, si può usare la tabella presente in alto in questo articolo.

Cercate il vostro peso sulla sinistra e seguite la riga finché non incontrate la colonna della vostra altezza: il numero (e il colore) che risulterà, indicherà la vostra condizione.

Se ad esempio pesate 54 kg e siete alti 1 metro e 62 cm vorrà dire che avete un IMC di circa 21 quindi siete normopeso

Se pesate 86 kg e siete alti 1 metro ed 82 cm vorrà dire che avete un IMC di circa 26 e quindi siete lievemente sovrappeso.

MEDICINA ONLINE SONO NORMOPESO SOVRAPPESO OBESO SOTTOPESO 1 2 3 GRADO ALTO BASSO IMC BMI INDICE DI MASSA CORPOREA IMPEDENZIOMETRIA BIOIMPEDENZIOMETRIA GRASSO PESO DIMAGRIRE TABELLA UOMO DONNA BAMBINO DIETA.jpg

Come già prima accennato, per superare i limiti dell’indice di massa corporea è importante eseguire una bioimpedenziometria, che ci permette di analizzare con esattezza le percentuali di massa magra, massa grassa, idratazione ed altri valori.

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Le 10 fasi (più una) che accomunano tutti i fumatori: prima parte

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO FUMA SIGARETTA NICOTINA TABAGISMO TOSSICODIPENDENZA OCCHIALI DA SOLE UOMOQuelle che vi sto per descrivere sono, secondo l’esperienza mia e di amici e pazienti fumatori, ex fumatori e mogli/mariti di fumatori, le fasi che attraversa (quasi) chiunque quando passa dallo stato di “non fumatore” al classico “un pacchetto al giorno” fino all’auspicabile “ho smesso di fumare”. Questo articolo è sia per i lettori fumatori che, credo, si ritroveranno facilmente in almeno una delle fasi, ma anche per i non fumatori: voglio dar loro uno “spaccato” della – assurda e in perenne contraddizione con se stessi – vita da fumatore in modo che possano comprendere meglio come funziona la trappola del fumo e magari aiutare una persona cara a smettere di fumare.

1) Fase “Io non diventerò mai un fumatore”
Al liceo andavo al mitico Giulio Cesare di Roma. All’epoca erano presenti vari giornali scolastici fatti dagli studenti, uno di questi era il “No surrender” su cui a volte scrivevo anche io. Uno degli articoli che ho scritto riguardava proprio i danni dal fumo e di quanto io fossi estremamente contrario alle sigarette. Poco più di un anno dopo, durante una gita scolastica a Venezia, mi sono ritrovato a fumare la mia prima sigaretta, spinto da una mia compagna di classe fumatrice. Questo per dirvi che non conta quanto voi siate maldisposti verso le sigarette: tutti i fumatori prima erano non fumatori, ma basta fare qualche tiro per ritrovarsi nel circolo vizioso della tossicodipendenza da nicotina, che dura potenzialmente tutta la vita.

2) Fase “Solo una sigaretta per provare”
Capita il giorno in cui tutti fumano e tu non vuoi essere da meno. Capita che la ragazza o il ragazzo che ti piace fuma e tu non vuoi essere da meno. Capita che il tuo migliore amico fuma ed è più “figo” di te e tu non vuoi essere da meno. Allora fumi la tua prima sigaretta, di solito nel fragore di una tosse esagerata. Pensi che ne vuoi provare solo una, per curiosità, tanto tu non diventerai mai un vero fumatore: a una persona sveglia come te non potrà mai succedere. Ed invece è già successo: non sempre ma molto spesso basta una sola sigaretta per innescare un circolo vizioso che può durare tutta la vita.

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3) Fase “Ne fumo poche, non diventerò mai dipendente dal fumo”
Dopo la prima sigaretta di solito capita che il soggetto non compri le sigarette visto che lui si sente convinto di essere un “non fumatore”. Quello che il soggetto fa è “scroccare” una sigaretta ogni tanto ai suoi amici, che dopo un po’ cominceranno a dirgli “basta fregarmi le sigarette, perché non te le compri?”. Il soggetto fuma poco, a volte può capitare che durante la settimana non fumi per poi farsene un paio il sabato sera. Questo alimenta in lui la convinzione di non essere un “un vero” fumatore perché lui riesce a controllarsi al contrario di tutti i suoi amici che invece fumano abitualmente. “Io fumo solo in occasioni speciali o la sera quando esco con gli amici, un pacchetto mi dura dieci giorni, io non sono un fumatore vero, e poi fumo pure le sigarette light che fanno meno male”. Frasi sentite mille volte, specie dai più giovami. Aiutato da questa convinzione decide, per non sentire i suoi amici lamentarsi, di comprarsi le sigarette. Ma non il pacchetto da 20 (“quello è da veri fumatori”) bensì quello da 10 che è “più adatto alle mie esigenze di non fumatore che fuma solo un paio di sigarette ogni tanto”.

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4) Fase “Da 5 a 10 a 20 sigarette al giorno”
La nicotina è una droga che crea dipendenza, assuefazione e, se negata al corpo, astinenza. Nella maggioranza dei casi ciò porta il fumatore “del sabato sera” ad aumentare sempre più la quantità di sigarette. In un arco di tempo estremamente variabile, e senza rendersene conto, si passa quindi dalle sigarette del week-end, al pacchetto da dieci sigarette ed infine a quello da venti, in alcuni casi perfino quest’ultimo diventa insufficiente a coprire il “fabbisogno giornaliero di nicotina”. Negli ultimi mesi della mia dipendenza io sono arrivato a fumare circa 25 sigarette al giorno. Di solito in questa fase di crescita del consumo, il soggetto è maldisposto ad ammettere agli altri, e soprattutto a se stesso, che non può fare a meno di fumare. Il risultato è che nell’uscita serale con gli amici dice agli altri e si autoconvince che se lui vuole può anche decidere di non fumare quella sigaretta che ha appena preso in mano. Per orgoglio non la fumerà ma nella sua testa per il resto della serata la voglia di fumare sarà altissima come anche il nervosismo. Nessuno riuscirà a convincere un fumatore ottuso che quella voglia e quel nervosismo sono nient’altro che i sintomi dell’astinenza dalla nicotina, esattamente come un eroinomane in astinenza da eroina ha voglia di farsi ed è nervoso.

5) Fase “Sono un fumatore, lo ammetto”
Per leggere questa fase e le successive, continua la lettura con: Le 10 fasi (più una) che accomunano tutti i fumatori: seconda parte

I migliori prodotti per il fumatore che vuole smettere di fumare
Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche, pensati per il fumatore che vuole smettere di fumare o che ha smesso da poco. Noi NON sponsorizziamo né siamo legati ad alcuna azienda produttrice: per ogni tipologia di prodotto, il nostro Staff seleziona solo il prodotto migliore, a prescindere dalla marca. Ogni prodotto viene inoltre periodicamente aggiornato ed è caratterizzato dal miglior rapporto qualità prezzo e dalla maggior efficacia possibile, oltre ad essere stato selezionato e testato ripetutamente dal nostro Staff di esperti:

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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